sabato 1 giugno 2024

Envy - Ambitious Lovers (voto: 7,5)


Il CBGB, locale underground nell’East Village della New York degli anni settanta, fu il crocevia delle nuove tendenze musicali impegnate a ridare al rock la sua impronta originaria che, a torto o a ragione, era stata deturpata da anni di prog sinfonico e dall’incubo di una disco music sempre più dilagante e prevaricatrice. Patti Smith e Tom Verlaine s’incaricarono del progetto revisionista e lo condussero con piglio deciso, quasi messianico, coinvolgendo un numero sempre più consistente di artisti con background disomogenei ma accomunati da un approccio intellettuale alla musica.
New York era a quei tempi, molto prima che il processo di gentrificazione la rendesse la vetrina di plastica che oggi conosciamo, una città povera (la stessa Manhattan con la centralissima Times Square era un posto malfamato e pericoloso da frequentare). Va da sé che la sua natura metropolitana e contraddittoria attraesse giovani sbandati ed artisti in erba desiderosi di vivere da protagonisti i fermenti che germogliavano con sorprendente intensità. Ecco allora che, accanto ai due già menzionati capipopolo, il CBGB accolse ad esempio personaggi come James Chance, David Byrne, Glenn Branca e, last but not least, Arto Lindsay. Il movimento fu chiamato NO WAVE, in aperta polemica con gli elementi eccessivamente pop e commerciali caratterizzanti la new wave.
Scoprii Arto Lindsay a Bologna nel 1981 in occasione di un festival multimediale che vide, fra le altre iniziative, la lettura della Divina Commedia dalla Torre degli Asinelli da parte di Carmelo Bene, oltre ad una serie di esibizioni di gruppi musicali underground fra cui i locali Gaznevada, i Pere Ubu, i Lounge Lizard ed i DNA, capitanati appunto da Arto Lindsay. La storia dei DNA fu tanto breve quanto luminosa e determinante per la svolta che la NO WAVE propugnava: musica scarna e priva di un centro tonale, chitarra di Arto tagliente, psicotica ed apparentemente fuori controllo, percussioni ridotte all’osso ed organo che definire minimale è poco più che un eufemismo: la musica nuova è servita; la rivoluzione, compiuta; il rock si è rifatto il look ed è tornato a splendere più radioso che mai.
Chiusa l’esperienza con i DNA, Arto fonda col tastierista Peter Scherer gli Ambitious Lovers, progetto meno estremo del precedente e quindi più ricco dal punto di vista squisitamente musicale. Le radici per metà brasiliane del chitarrista emergono per mescolarsi al noise, producendo un risultato esplosivo anche se un tantino più orecchiabile (!), seminale per le generazioni future.
Envy esce nel 1984 e si apre con le sincopi funky di Cross your legs, punteggiate dalle tastiere minimali arrangiate da Peter Scherer; prosegue sulla stessa falsariga con Trouble maker, si apre al samba tradizionale di Pagode Americano, eseguito soltanto con un intreccio di percussioni, quasi a voler sottolineare il recupero più radicale del minimalismo; si passa al delirio breve di Nothings monstered, in cui lo screaming e lo scratch divorano tutto. Tribalismo ed elettronica si fondono fino ad arrivare alle acque più quiete, ma non per questo meno trasgressive e futuriste di Too many mansions: la voce di Arto è solo accennata e procede per salti, creando un effetto straniante ed al tempo stesso stranamente romantico. Venus lost her shirt è una fanfara contrappuntata da un loop di sinth e dalla chitarra atonale che sembra impazzita.
Il modello di fusion creato da Lindsay e Scherer resta un unicum, e non solo in campo No Wave. Come sempre accade, l’originalità e lo spirito pionieristico non pagano in termini commerciali; così oggi ricordiamo e continuiamo a celebrare i Television di Verlaine ed i Talking heads ma sembra non esserci alcuna voglia di andare a riscoprire talenti purissimi e dischi che hanno fatto in modo silenzioso la storia del rock. 

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