mercoledì 29 maggio 2024

Tanz der Lemminge - Amoon Düül II (voto: 7,5)


Ammetto di essere fortemente in imbarazzo nel parlare di questo doppio album del 1971. Lo sono per una serie di buoni motivi: il primo riguarda la scarsa popolarità di cui la band gode al di fuori della cerchia ristretta dei suoi cultori; il secondo è di natura geografica, in quanto  la Germania ed il suo Kraut Rock sono sempre stati molto lontani dai cromosomi musicali italici, evidentemente molto più ricettivi e benevoli nei confronti del coevo prog di matrice inglese (e qui si potrebbe aprire un dibattito sulle ragioni storiche di questo diverso trattamento); il terzo motivo, meno generalista dei precedenti, ha a che fare con la mia soggettività che da sempre ha preferito questo terzo album della band al molto più celebrato secondo lavoro, Yeti. Sarà dunque bene fare un po’ di chiarezza innanzitutto su cosa sia il Kraut Rock, spendere poi qualche parola sugli Amon Duul II e solo allora inoltrarmi nei meandri più nascosti di questo specifico ed un po’ bistrattato disco.
Verso la fine degli anni sessanta i giovani tedeschi vissero una fase di ripensamento delle proprie radici culturali, cercando risposte adeguate alle ragioni che avevano determinato le nefaste imprese della generazione che li aveva preceduti. In questo clima di pesante autocritica nacquero movimenti artistici che non potevano non ergere a bandiere della propria identità la rottura con gli schemi del passato, la totale libertà espressiva ed un fortissimo desiderio di sperimentazione. Nacquero così sia il “nuovo cinema tedesco” dissacratorio e sperimentale di Fassbinder, Herzog e Wenders, sia appunto il Kraut Rock.
Il movimento, di cui gli esponenti principali e più noti furono i Faust, i Tangerine dream ed i Kraftwerk, ha molteplici anime ed altrettanti connotati stilistici che vanno dal funky alla musica elettronica, dal garage rock al jazz e all’avanguardia sperimentale. L’appellativo dispregiativo Kraut, partorito dalla stampa specializzata inglese (sempre pronta ad etichettare e soprattutto a denigrare tutto ciò che esula dal regno di Sua Maestà) , accomunò questa variegatissima pletora di artisti, non rendendo affatto un buon servigio a tutti coloro che erano disposti a comprendere il fenomeno.
E veniamo agli Amon Düül II, oggetto di questo scritto, ed alla loro parabola musicale che parte dal 1969 (anno in cui realizzano il loro primo album, Phallus Dei), passa attraverso la realizzazione di Yeti e di Tanz der Lemminge nei due anni successivi, e si conclude con Carnival of Babylon e Wolf city nel 1972. In verità gli Amon continueranno ad incidere dischi fino agli anni novanta, ma senza sussulti artistici degni di nota.
I componenti del gruppo, all’epoca della realizzazione di Tanz der Lemminge, erano Chris Karrer, Peter Leopold, Ulrich Leopold, Falk Rogner e John Weinzierl. Il successo di critica del lavoro precedente Yeti risalente al 1970, un doppio album anch’esso, mise le ali alla creatività del quintetto. Ne venne fuori un disco estremamente composito e ricco di tutti gli elementi distintivi del Kraut: la suite iniziale Syntelman's March of the Roaring Seventies, della durata complessiva di circa quindici minuti, è suddivisa in quattro movimenti, ciascuno con caratteristiche peculiari. Si va dall’overture psichedelica e marziale alla ballata elettro-acustica con tanto di violino e chitarra spagnoleggiante. L’atmosfera complessiva ricorda per certi versi i Van der Graaf Generaator e per altri i Pink Floyd di Atom heart mother. Il risultato non è però la somma di queste due citazioni bensì un sound originale, a metà strada fra il folk ed il progressive, denso di stacchi, ripartenze e cavalcate jazz-rock notevoli per tecnica ed inventiva. Il brano successivo, Restless Skylight-Transistor-Child, è anch’esso una lunga suite in cui all’inizio è facile riconoscere l’oggetto dell’ispirazione meccanico-rumoristica dei Pink Floyd di Welcome to the machine. Buona parte del brano è dominata dal sitar, dalle divagazioni lisergiche, da linee di basso ripetute ipnoticamrnte su cui s’innestano di volta in volta l’elettrica e il violino (quasi a sottolineare come la prima sia l’evoluzione moderna del secondo), dal canto straziato ed elegiaco dell’ultima sezione. Il disco si chiude con Chamsin, suddivisa in quattro parti: The Marilyn Monroe-Memorial-Church, Chewinggum Telegram, Stumbling Over Melted Moonlight e Cal Whispering. Qui vengono ribadite ed esasperate le componenti avanguardistiche del Kraut, grazie all’uso si strumenti musicali non convenzionali e di lunghe divagazioni al sintetizzatore. Quel che manca (e non è né un bene né un male) sono forse un uso costante delle dissonanze e l’esasperazione cacofonica tipiche della musica contemporanea dodecafonica.
Tanz der Lemminge è sicuramente un disco non facilissimo, ma è anche un caleidoscopio di dettagli da scoprire ad ogni nuovo ascolto. Personalmente ho imparato ad apprezzarlo col tempo. Ancora oggi, tutte le volte che mi viene voglia di immergermi in un’atmosfera prog dominata dall’improvvisazione, questo è uno dei dischi a cui faccio volentieri ricorso.

 





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