lunedì 29 aprile 2013

The Doors - The Doors (voto: 8)

È il 1966. Nell'ambiente del rock californiano si vanno infittendo le voci sull'imminente uscita di un disco ad opera di un nuovo gruppo. Il perché se ne parli così tanto è materia per i musicologi con l'attrazione fatale per le statistiche riguardanti il giorno esatto delle incisioni. In effetti l'album è stato finito presso gli studi della Sunset Sound Recorders di Los Angeles il 31 agosto del 1966, dunque oltre quattro mesi prima della sua pubblicazione, avvenuta nei primi giorni del ‘67.
Quando un domani gli storici si chiederanno se questo disco appartenga al 1966 o al 1967, dovranno dunque far bene attenzione a distinguere i due momenti.
Da parte mia, il rifiuto ancestrale delle sciccherie statistiche ed una visione romantica della storia mi obbligano a far riferimento al quattro gennaio 1967. Soltanto così si potrà dire "Il 1967 si aprì con un album epocale".
Quasi tutte le band hanno un leader carismatico, uno (addirittura due nel caso dei Beatles) che infiamma il pubblico con tecniche e sortilegi vari, da quelli semplicemente vocali a quelli gestuali. Se devo trovare un riferimento, una similitudine con la qualità del carisma di James Douglas Morrison - cantante e compositore dei Doors - mi viene in mente Mick Jagger. Ma è un paragone riduttivo che si limita alla forma erotica della gestualità, non alla qualità del suo contenuto. Se Jagger rappresenta la continuazione vocale e visiva di una musica dalle forti tinte sessuali, impregnata di individualismo e di trasgressione, Morrison sembra far l'amore con la Morte, unica fonte di piacere e d'ispirazione. Il rito della seduzione è giocato su registri più alti, pur mantenendo intatta la connotazione viscerale ed epidermica. E' come se Jim abbia improvvisamente alzato la posta, portandola fino ai piani alti della psicanalisi e del teatro.

Father/ Yes son?/ I want to kill you.
Mother/ I want you... fuck you.
C'è l'Edipo Re di Sofocle nei versi di The End. E c'è anche tutta la violenza fortemente individuale ed autobiografica che manca nella sessualità di un Jagger, icona sociale della trasgressione.
Quel che salta subito all'orecchio è la teatralità della voce di Jim Morrison e la visionarietà dei suoi testi. Ma l'insieme della band - a cui manca un bassista, sostituito dall'organo dell'eclettico Ray Manzarek - emerge comunque per la brillantezza dell'insieme: ottima la coesione della sezione ritmica con la batteria di John Densmore e le tastiere basse del già citato Manzarek, il quale si fa notare anche (e soprattutto) per un'ottima tecnica nell'esecuzione delle parti armoniche. Un esempio è la riuscitissima introduzione di Light My Fire, cui fa seguito un cantato su una successione di accordi in LA minore e FA diesis minore7 quanto meno originale. Il brano è straordinario anche per la poetica affatto ortodossa del testo.

Il tempo di esitare e' passato
Non c'e' tempo per rotolarsi nel fango
Prova ora! Possiamo solo perdere
e il nostro amore diventare una pira funeraria


Sesso e Morte, dunque. Come in un libro di psicanalisi scritto da un poeta. Ma anche poesia pura sull'abbandono, sulla perdita, sulla fragilità delle relazioni. Come in The Crystal Ship, autentica gemma senza tempo, psichedelica, quasi galleggiante su un semplice tappeto sonoro.

Prima che tu scivoli
Nell'incoscienza
Vorrei avere un altro bacio
Un'altra risplendente
Opportunità di beatitudine
Un altro bacio
Un altro bacio
I giorni sono luminosi
E pieni di dolore
Avvolgimi nella tua dolce pioggia
Il tempo da cui sei fuggita
Era troppo insensato
Ci incontreremo ancora
Ci incontreremo ancora
Dimmi dove
Giace la tua libertà
Le strade sono campi che non muoiono mai
Salvami dalle ragioni per cui
Tu dovresti piangere
Ed io dovrei volare
La nave di cristallo
Sta per essere riempita
Mille ragazze
Mille brividi
Un milione di modi per passare il tempo
Quando torneremo
Ti scriverò


Quel che venne da chiedersi in quel lontano mese di gennaio del 1967 fu se i Doors avrebbero avuto sufficienti energie per mantenere aperte le porte della percezione, quelle di cui parlava Aldous Huxley nel suo celebre libro del 1954 ed a cui Morrison si era ispirato. La chiave stava nella capacità di resistere alla tentazione di un egocentrismo assoluto, forse inevitabile nelle personalità forti. La risposta è nota a tutti.  

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