lunedì 29 aprile 2013

Da capo - Love (voto: 6,5)

Anno 1967, secondo album per il gruppo americano Love a soli sette mesi dalla pubblicazione del primo ed omonimo.
Da Capo rivela sin dal primo ascolto la volontà di allontanarsi dal sound più ortodosso del primo lavoro e la capacità sorprendente di coniugare soluzioni melodiche classiche con ritmi vulcanici e battute d'arresto improvvise. 
L'album si compone di sette brani, di cui i primi sei di breve durata ed il settimo in forma di suite ad occupare l'intera seconda facciata. Questa scelta artistica, rischiosa dal punto di vista strettamente commerciale, ha sul piano dell'estetica complessiva del lavoro un impatto premiante. 
La suite di cui stiamo parlando, Revelation, si apre come una vera e propria cavalcata ai confini del rock, con la voce di Arthur Lee a svettare imponente su un tessuto sonoro di chiara matrice rhytm'n'blues, in cui la chitarra solista di Johnny Echols disegna melodie nervose che sembrano continuamente interrompersi e giocare a rimpiattino col basso incalzante di Ken Forssi. Il brano si snoda attraverso i vocalizzi e l'armonica di Lee mantenendosi però fermamente ancorato alle premesse iniziali. Un primo, vero e proprio break fa la sua comparsa quando il sassofono di Tyaj Cantrelli inizia a ritagliarsi un prezioso spazio solistico su un ritmo che è diventato improvvisamente più sinuoso ed impreziosito di colori sudamericani. Basso prima e batteria poi interrompono la parentesi ed assumono a turno il comando solitario del pezzo, prima che irrompa il clavicembalo di Alban Pfisterer a chiudere definitivamente i giochi con un virtuosismo inusitato e barocco, lo stesso clavicembalo che introduce il primo brano dell'album - un 3/4 velocissimo chiamato Stephanie knows who. Anche qui il sax è magistrale quanto la voce istrionica di Lee, ed il ritmo ha un sapore diverso da qualsiasi altro brano rock fino ad allora ascoltato.
Più classica Orange Skies, con la chitarra elettrica ed il flauto a far da contrappunto al ritmo sognante di bossa nova dell'intero brano, in cui la voce di Lee dimostra di saper essere anche romantica, seppur in un modo tutto suo . !Que Vida continua sulla falsariga del brano precedente, quasi la sua naturale prosecuzione. Qui è l'organo di Pfisterer ad avere la meglio, giocandosi il primato con la sempre straordinaria chitarra di Echols.
7 and 7 is corre come un treno su un fondo ritmico velocissimo. La voce di Arthur Lee la fa da padrone sui registri più alti e si amalgama al tessuto musicale con una naturalezza che evidenzia in modo clamoroso la coesione che tutti i membri del gruppo hanno ormai raggiunto.
The Castle inizia con un arpeggio di chitarra classica che apre a sorpresa - continuando a seguire la traccia -  verso un galoppo di chitarra elettrica, basso e batteria a cui si accoda l'immancabile ed inquietante clavicembalo.
She comes in colors, psichedelica e strozzata, è una ballata quasi folk in cui il flauto ed il clavicembalo sembrano essere nati per sfiorare le coordinate classiche del rock.
Un disco importante e strano. Importante perchè mette in discussione l'uso ortodosso degli strumenti nei generi musicali, perchè sviluppa armonie fino a quel momento insolite nella musica pop, perchè l'originalità è al servizio di una logica musicale creativa e salda. Strano perchè, oltre alla già citata copertura integrale di un lato con una sola traccia, testimonia - in modo forse involontario - lo stato confusionale e magnificamente fluido di quell’epoca musicale; un'epoca in cui è forte la volontà di rompere con gli schemi classici ed in cui il diktat dell'originalità non sempre si coniuga con la qualità delle opere. 
Non è questo il caso di Da Capo.

1 commento:

oceanezagata ha detto...

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