giovedì 9 maggio 2013

Matthew and son - Cat Stevens (voto: 5,5)



Non solo psichedelia, non solo acid rock tra le proposte musicali del 1967. C'è anche chi, come Cat Stevens, non sceglie di tagliare completamente i ponti col recente, melodico passato musicale e di tentarne un recupero in chiave moderna ed originale, grazie al background multietnico e soprattutto ad un'innata sensibilità musicale che gli permette di creare melodie in assoluta semplicità.
Il pregio della "creatività semplice" emerge immediatamente dalla linea melodica del brano che dà il titolo all'album e da quello successivo - I love my dog - caratterizzato da un arrangiamento in cui il violino esalta l'afflato poetico dei versi senza che l'architettura musicale sconfini nel sentimentalismo. Meno riuscita è Here comes my baby, in cui il gioco di rimandi alla gioia con l'uso dello xilofono e l'incedere da marcia quasi country banalizzano una linea melodica che poteva essere sfruttata decisamente meglio. Bring another bottle baby ci conduce verso i lidi dorati della bossa nova e delle sonorità caraibiche. La melodia è accattivante ma anche qui l'arrangiamento lascia un po' a desiderare per l'eccessiva impronta esotica. Molto meglio la linea scarna di Portobello Road in cui la voce ritmica di Cat Stevens disegna un credibile quadro della famosa strada di Londra con l'ausilio della sola chitarra acustica. I've found a love è un brano inutile con un incedere finto marziale che apre ad un ritornello fin troppo romantico e sovraccarico di archi. I see a road vuol essere troppo originale con la sua struttura da barbershop quartet e la voce di Stevens a fare il verso a certi old singers onestamente molto più credibili di lui. Baby get your head screwed on è una divertente marcetta e nulla più, mentre Granny è caratterizzata da una buona linea di basso e da alcune sottolineature di fiati che ci portano quasi in territorio soul. When i speak to the flowers è veloce e beat ma non convince affatto. L'impressione è che Stevens si sforzi di spaziare oltre la naturalezza delle proprie corde emotive che sono consone alle pop ballads e non necessitano di orpelli orchestrali per emergere in tutta la loro ammaliante semplicità. Ed ecco infatti The tramp a confermare l'assunto: chitarra acustica e contrabasso. E la voce di Cat Stevens. Un trinomio vincente per uno dei brani più riusciti dell'album.
Il disco esce in contemporanea con l'opera prima di Roy Harper. Le differenze, oltre che nella diversissima formazione musicale, stanno soprattutto nella maggior consapevolezza ed autonomia artistica del primo rispetto al secondo: Roy Harper non scende a patti con stereotipi musicali più o meno moderni e si limita ad assecondare la propria natura intimista, quasi atemporale. Cat Stevens non ha ancora messo a fuoco le sue caratteristiche e tende a strafare e ad allontanarsi da se stesso, sbandando paurosamente come un pilota alle prime armi. Come on and dance è l'emblema di questo fiasco, così come Hummingbird e la conclusiva Lady nulla tolgono e nulla aggiungono al valore complessiva dell'album.
Si può, dopo quanto detto, riassumere in termini positivi quest'opera prima? La domanda è probabilmente mal posta. Sarebbe meglio chiedersi: Cat Stevens è destinato a crescere? La risposta è sì. Sì, perchè ha dentro di sè l'ingenuità e l'incanto del ragazzino che sorride al mondo, un po' come l'avevano i Beatles prima maniera. Sì, perchè certi brani come Portobello Road, I love my dog e The tramp non nascono al tavolino dei buoni mestieranti della musica ma sono figli di un'emotività artistica genuina e preziosa. Forse da Stevens non è lecito aspettarsi un'opera unitaria, una miscela omogenea in grado di far gridare al miracolo i seriosi puristi del rock più a la page. Le opere della maturità lo condurranno allo sfrondamento dei caratteri musicali che non gli appartengono e ci restituiranno un homo novus in grado di emozionarci e di trascinarci al suono di magiche, ritmiche, essenziali ballate.

Nessun commento: