giovedì 13 settembre 2012

Quando ho fermato mia madre?

La mia memoria si comporta in modo diverso con il passato prossimo e con quello remoto: il primo me lo restituisce in forma di videoclip, col secondo ricorre all'immagine fotografica.
Le persone e gli eventi del mio passato remoto sono crisalidi in un bozzolo, non sono fossili. Il tempo trascorso li ha fermati, scolpiti.  Ma non li ha uccisi, tutt'altro. Li ha ibernati e protetti in un involucro adatto a custodire la vita, una membrana pulsante che sovraintende all'osmosi. 
Se fisso a lungo una parete bianca, questa pian piano diventa uno schermo. Una alla volta, come vecchie diapositive, le crisalidi della mia memoria sfilano con lentezza. Sono legate da un filo invisibile, e viste così - l'una rincorrere l'altra senza mai afferrarla - producono la magia fotografica dei piani anti-narrativi dei film di David Lynch, uno capace di far vedere crisalidi addirittura in azione. Le mie invece solo solo fotografie, alcune a colori, altre no. Alcune utilizzano i piani americani, altre i piani medi. Raramente vedo figure intere o primi piani. Non so perché. Non è però questa la domanda alla quale vorrei poter dare con maggior urgenza una risposta. E neanche quella che riguarda il legame tra una diapositiva e l'altra. Non m'interessano le letture razionali quando il soggetto si fa beffe della ragione: trovate consono vestirvi da sciatori per andare in barca a vela? La domanda che mi faccio è di tutt'altro tipo. Qual è il momento esatto in cui il nostro passato da prossimo si fa remoto? Quando il videoclip diventa fotografia?
Cos'è successo nella mia vita nel lasso di tempo intercorso tra il ricordo di mia madre in movimento e quello in cui ha cominciato ad apparirmi, ad esempio, seduta immobile e sorridente in un'inquadratura priva della profondità di campo?
Quale momento della mia vita ha fatto di mia madre una fotografia?



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